Le tele e le tavolette all’olio esprimono impressioni ed emozioni maturate seguendo il padre per i paesi dell’Aspromonte. Della gente aspromontana ritrae i momenti più intimi di vita e di lavoro e la partecipazione ai rituali collettivi, tradizionali e di new entry. La guerra è appena finita e i segni della disfatta sono ancora vivi. Nel campo pittorico si impongono, in ambito nazionale, Carrà, Mafai, Pirandello, Rosai, che Nik nel tempo conoscerà personalmente.
Dopo la peregrinazione aspromontana, gli spostamenti a seguito del padre avvengono tra i paesi della costa jonica e principalmente nel reggino. La sua attenzione è colpita soprattutto da scene drammatiche di vita quotidiana che egli traspone in una dimensione che si sostanzia di sogno e di misticismo. Si lega a Michelangelo, Masaccio, Antonello da Messina e acquisisce dimestichezza con Kokoschka e Munch.
Visioni dell’Antico e Nuovo Testamento si intrecciano nelle opere di questo periodo, nelle quali prevale l’espressionismo dinamico, caratteristico anche per i rapidi tocchi di pennello e le forti tonalità di colori complementari. Soggiorna a lungo a Roma, ove frequenta gli ambienti cosmopoliti. Visita il museo del Laterano e la mostra dei graffiti del Sahara. Questi ultimi gli aprono le porte a una visione più primigenia e materica della natura e dell’uomo, che sperimenterà sei anni dopo a Parigi e Milano, e le sue opere mostreranno figure connotate da motivazioni falliche.
Le pennellate assumono getti più veloci e dinamici nel tratteggio schematico e anatomico della figura. Prevale la geometria del ritratto, l’archetipo di donne in gruppo e la composizione di ragazzi di strada (anch’essi trattati con differenti schemi geometrici).
La variegata sequenza del nudo di donna esprime una cruda visione materica, profondamente umana più che sensuale. Ancora rapidi getti di pennello e varietà di colori complementari. È il periodo in cui si immedesima nella visione cromatica di Paul Klee, nei vibranti gesti di Dufy e nei tenui colpi di Modigliani.
Nel 1951 la catastrofica alluvione della Calabria gli ispira tele drammatiche e già compiute. Si misura con gli effetti del cataclisma che semina distruzione e morte in tutto il Reggino e nella Locride. Nasce la pittura degli alluvionati. Partecipa a rassegne nazionali e internazionali. Ottiene un riconoscimento a Mosca.
Dopo l’alluvione e le relative scene di devastazione e morte, subisce il fascino di Dea Morte, dei Cavalieri dell’Apocalisse e delle donne conchiglie, nei cui confronti insiste la sua ricerca. Tutti simboli di eterne e misteriose leggende. Partecipa, insieme ad artisti come Guttuso, De Chirico, Morandi, alla Mostra Internazionale d’Arte Contemporanea, organizzata dall’UNAC (United Nations Appeal for Children) insieme all’UNESCO, inaugurata da Einaudi, al Palazzo delle Esposizioni a Roma. L’ambasciatore inglese acquista una sua opera: una madre con i suoi due bambini morta nel tentativo di oltrepassare la Cortina di Ferro. A Roma visita a lungo la Cappella Sistina, a Firenze Masaccio, ad Arezzo Piero Della Francesca.
Sempre sulla scia del crudo espressionismo dinamico, la sua pittura assume un naturalismo materiale con le stupende nature morte caratterizzate da cromia a volte violenta e da segmenti di produzione legati alla rivisitazione dei suoi più amati maestri.
Comizi, resistenza, attivisti, aspetti caratterizzanti la guerra fredda: sono temi dominanti. L’ambasciatore inglese lo invita a Berlino ovest per illustrare con manifesti il dramma dei profughi e la repressione d’Ungheria. Uno dei temi proposti: una bambina col nome scritto sul cartoncino pendente al collo cerca di oltrepassare la Cortina di ferro. Vince il primo premio a Zagabria con “Le giornate di Budapest”. Ha soli 26 anni quando il Sovrintendente ai Beni Culturali di Reggio Calabria gli mette a disposizione i locali del Museo della Magna Grecia per una personale che si protrarrà per tre mesi. Espone 200 opere dell’ultimo decennio. Eugenio Montale scrive di lui sul “Corriere della Sera”. Ed è il primo vero successo: viene invitato a Roma, Milano, Ginevra e Zurigo.
Sperimenta una serie di effetti geometrici, dal cubo e dal poliedro più generalizzato alle gocce d’acqua e alle astratte fantasie con paesaggi architettonici urbani e figure bagnate di luce irreale e di variazioni cromatiche. Costituiscono l’humus della successiva produzione che irromperà in tutta la sua dinamicità col prismatismo solare di Losanna. Da questa visione generano le luminose composizioni lineari di danzatrici (in qualche recensione si parlò di “danza delle linee chiuse”).